venerdì 28 gennaio 2011

Affermazione d'amore.

Cando su sole naschit dae ponente
e andat a posare a su levante
cando s'immensu mare navigante
siccu det esser de s'unda imponente;

Cando bolat che ave lestramente
s'animale chi como est istrisciante,
cando torrat masedu s'elefante
pro jogare cun s'essere innotzente;

Cando d'ogni montagna est pianura
cando in s'aera camminat su trenu
e sa notte no' est pius iscura;

Cando si vivet senza respirare
cando che mele dulche est su velenu
tando tzesso Columba de t'amare.


Francesco Sedda (Coanu)
Gavoi 1927

martedì 18 gennaio 2011

Trighinu gavoesu

Approfitto di questo blog anche per parlare della razza canina gavoese che noi chiamiamo "trighinu".
Potrebbe essere un molosso nuragico, su Trighinu di Gavoi è una razza sparsa neglio ovili dei pastori gavoesi ma ancora sconosciuta a molti ricercatori delle razze canine.
E' stato inserito nel libro "canis gherradoris" di Roberto Balia perchè anche "su Trighinu" è stato utilizzato come guarriero e assoldato nell'esercito italiano nel 1911 per combattere in Libia contro Turchi, Arabi e ribelli Senussi.
Ha vigilato negli ovili su uomini, bestie e proprietà, per scongiurare furti e proteggere gli animali dalla volpe, predatrice di teneri agnelli.

Perchè anche il Trighinu, come il cugino fonnese, è stato soldato nello stesso esercito ma anche combattente in campagna al servizio del pastore, contro i nemici del giorno e della notte. I due cani dei territori confinanti però non si somigliano: il cane fonnese è snello e peloso, il Trighinu è tozzo, ha un mantello tigrato, di vari colori, soprattutto fulvo o grigio, pelo corto e ispido mediamente 60 centimetri, peso dai 35 ai 40 chilogrammi. Il colore cambia da zona a zona, mimetico, protettivo, corrispondente ai colori del suolo dove abita.
Un cane di razza sarda allevato dai pastori di Gavoi.



sabato 15 gennaio 2011

Tumbarinu, Triangulu, Pipiolu, Tumborro e Bohe.

Attorno al 1830 padre Vittorio Angius, Cagliaritano, arrivò a Gavoi e scrisse alcune pagine riguardanti la vita dei gavoesi di allora, la cultura, le tradizioni e tantissimi aspetti della barbagia di quel tempo, per molti aspetti rimasta invariata nel bene e nel male.

Nella sua descrizione appare chiara la predisposizione di questo paese alla musica, al divertimento, al ballo e ancora tutto è rimasto intatto nei secoli:

"Il ballo è il divertimento comune e si fa o al concerto del coro (canto a tenore) o al suon del tamburo e alla melodia delle canne (su pipiolu)"

"Se mi chiedono in modo storto e ambiguo di che paese sono, invariabilmente rispondo:
"Sono di Iddafraigada", di un paese costruito.
"Iddafraigada" è il rifugio per non rivelare le origini etniche, il microcosmo al quale si appartiene,
con la sua cultura, nel bene e nel male.
Ho visto una volta un ragazzo, otto-dieci anni, con un grande berretto calato sugli occhi.

Se ne stava appoggiato al muro dell'orto posto davanti all'antica farmacia, nel paese alto.
Si vedeva che era forestiero
Un altro ragazzo, del posto, gli chiede: "di che paese sei?" e glielo chiede in modo storto e ambiguo.
La risposta: "di Iddafraigada".
Il ragazzo che fa la domanda gli da uno schiaffo.
Fortuna vuole che arrivi un uomo a cavallo, veda la scena, e faccia finta di inseguire l'aggressore.
Gli zoccoli del cavallo scivolano sull'impietrito seminando scintille.
Il ragazzo che ha dato lo schiaffo fugge terrorizzato, l'altro singhiozza cheto.
Ora l'uomo scende da cavallo e gli dice:
"Io non ti chiedo di che paese sei; voglio soltanto sapere dov'è tuo padre"
"Sta comprando sanguisughe in farmacia, ora; non aveva la bottiglia con l'acqua per prenderle ed è andato da un amico per farsi dare questa bottiglia"
"allora non hai più bisogno di me", dice l'uomo. Risale a cavallo e se ne va, tenendo l'animale al passo.
Ora io so che nessuno chiede a me in modo storto e ambiguo di che paese sono.
Sono del paese per il quale scrivo questa sorta di breviario.
Ora non sono di una "Iddafraigada" qualsiasi.
Come quel bambino forestiero quardo dal muro dell'orto dell'antica farmacia, nel paese alto.
La farmacia non è più li; è sullo stradone e non tiene sul banco il grande vaso di vetro pieno d'acqua
con le sanguisughe.
Ma l'orto si, c'è.
Guardo dal muro del vecchio orto e inseguo ricordi.
La nostalgia, che stupido non averla"


Da: Cronache dal sottosuolo: La barbagia, Gavoi

giovedì 13 gennaio 2011

Hontos de Gavoi: Questo blog nasce con l'arrivo dei "festeggiament...

Hontos de Gavoi:
Questo blog nasce con l'arrivo dei "festeggiament...
: "Questo blog nasce con l'arrivo dei 'festeggiamenti' del carnevale barbaricino, in particolare quello gavoese.In barbagia il carnevale viene..."

Questo blog nasce con l'arrivo dei "festeggiamenti" del carnevale barbaricino, in particolare quello gavoese.
In barbagia il carnevale viene vissuto e celebrato come un rituale.
Le origini del carnevale in barbagia sono avvolte nel mistero ma secondo alcuni studi è possibile che si trattasse di rituali in onore di Dionisio per la fertilità della terra.
Su harrasehare gavoesu inizia il giovedì "jovia lardaiola" con "sa sortilla 'e tumbarinos".
Su tumbarinu è uno strumento tradizionele gavoese assieme a "su pippiolu", "su triangulu" e "su tumborro".
Il primo è un tamburo costruito interamente a mano, utilizzando pelli di capra, pecora e anticamente pelli di cane. Per la costruzione de "su tumbarinu" vengono utilizzate le forme in legno per il pecorino, o vecchi secchi usati per la mungitura "sos malùnes".
I fabbri del paese si impegnano a costruire "su triangulu", un triangolo in ferro battuto.
La melodia de "su pippiolu" colora il ritmo ossessivo e arcaico de su tumbarinu e de su triangulu accompagnati anche da su tumborro.
Quest'ultimo viene costruito con una vescica di maiale fissata su una canna lunga circa due metri e attraversata da una corda realizzata dalla criniera del cavallo e messa in vibrazione da una sorta di arco seghettato in legno.
In occasione del carnevale a Gavoi e in barbagia si indossano abiti in orbace come facevano i pastori fino agli anni 70 "su sahu nigheddu" e "su gabbanu", scarpe in pelle costruite artigianalmente "sos hosinzos" e una sorta di protezione per le caviglie, utilissimi in campagna e nei boschi chiamati "sos cambales".
L'orbace è un tessuto tipico della Sardegna realizzato mediante una specifica lavorazione della lana grezza della pecora, molto caldo e impermeabile che serviva al pastore per vincere il freddo quando, anche la notte, vigilava sul gregge.
continuerò con la descrizione nei giorni seguenti, aspettando "jovia lardaiola"....
A nos intender'in salude.
(a risentirci in buona salute)